Nato ad Alcamo (TP) nel 1938, geologo ed insegnante, si dedica al primo amore: la pittura, con una dedizione stacanovista, si esprime in mostre ad Alcamo, Milano, Trapani, Ferrara, Palermo, Budapest, Budrio, Ischia, Sansepolcro, Città di Castelli, S.Zeno in Cassola, Arezzo, Basilea, Latina, Palestrina, Gubbio.

Una verace e forte terra lo avvolge con una propria forza espressiva che dona e conferisce alla sua opera un realismo di sorta verghiana, Enzo Di Franco, attraverso i volti provati dallo sforzo colti nell'istantanea fatica, imprime all'osservatore una vitalità del pari manifesta dal famoso Ligabue, lo stesso vortice che in questo mare tumultuoso inghiotte un guizzante gorgo, si rileva quando si osservi attentamente la verace linea di confine tra la grifagna espressività delle tigri e degli animali in lotta tra di loro, che ci restituiscono Ligabue, con quell'imprinting immediato e sagace: immagini ove la forza della natura scatena una forza bruta, dalla dinamica primordiale, che si insinua in una strpitosa vagheggiata, solidarietà nervosa, che domina in quelle braccia vorticanti in una direzione univoca, così la pesca del tonno, sin dal '96 assicura al pittore siculo un gran consenso di pubblico.

La storia della pesca che si svolge a Favignana, dove la tradizione mantiene dilatandosi nel tempo un paradigma Hemingwaiano, ed una volontà di giungere al sopravvento dell'uomo sulle calamità naturali. Una sorta di sentimento nostalgico pervade le grandi tele ad olio, in cui sia i mercati che i venditori di limoni, o i pescatori notturni, ci riaccostano ad un mondo primordiale e marinaro, ove il calibro delle abitudini scandesce la sosta quotidiana del travaglio umano.

Vibranti colori accesi, scenografie aplomb su vorticoso spumeggiare in un mere aperto, tramandano ad un desiderio di immediata libertà, ed i cieli sono solcati da nubi che si addensano sui volti umani provati dal logorio e dall'impulso ad affermare la forza, come un segnale di sopravvivenza, l'arenile calmo e la bonaccia umbratili posano su spettacolari, arroccati paesaggi dell'Ischia, ove il mare screzia in lapislazzuli e monocrome tinte smaltate, da cui scaturiscono pesci in lucori striati da solchi di luce festosa, miriadi di pesci brulicanti, vibrano d'afflato e bruciano in mari merlettati di inchiostro, con le fitte branchie che toccano l'argentea corrente. E' la pesca di pesca spada, tonni, e marlìn, è la fatica gloriosa, descritta in testi quali "Il vecchio ed il mare" di Hemingway, protesa in quella tensione estrema, annichilente, in um'omerica versione cogente, manifesta in strenuo terrore, che inietta sguardi ansimanti, di speranze sovente deluse, che il pittore sente di dover lasciare passare, nei messaggi della propria opera.

E' il grande fascino esercitato dal mare, la lavorazione attenta, rituale, misterica che racchiude la pesca, ed attinge ad una integrazione dell'uomo con i misteri della natura, di cui conosce le conseguenze penetrando sfumature ed energia. Una esergia profusa a piene mani e che è la stessa identica energia o espressività vitale insita nell'opera che Di Franco esprime, con pennellate decise, sorprese a razziare come il vento, la semplicità della tradizione locale-sicula, che attraverso le Processioni degli incappucciati, che sostengono la croce, con moti di ieraticità lodevole, avverta che colà ove nasce la profferta della generosità dell'uomo, s'amplia il godimento della propria realizzazione terrena, dove si dipinge con gagliardia l'amore per la natura, le stagioni e la tradizione, onde immettere nuova linfa nei gangli della gioventù, attraverso la conoscenza che è data dalla sorte della propria nascita in questo caso; può arrivare a condensare i messaggi anche in tutta la Penisola, affinchè si possa sostenere l'opera manifesta con questa cruda, ed efficace volontà di riscatto, dalla condizione di povertà ed indigenza, che sovente porta l'uomo all'egoismo ed alla chiusura nei confronti della comunità promiscua.

Enzo Di Franco, pittore sapiente, è ormai collocato in quell'ambito in cui la considerazione dei Galleristi a lui noti, gli ha concordato il consenso unanime, ed ora spetta a noi valutarne l'opera, constatandone le motivazioni da cui scaturisce, e la tenacia con cui egli pone l'uomo, al centro esatto della sua instancabile, nonchè fertile pittura. Una pittura granulosa, pervasa di intensità rigogliosa, come la natura stessa in cui nasce veracemente appesa alle tradizioni, la vita, documentata dal solenne scandire degli eventi, che l'uomo rendono agguerrito, aggressivo, forte, onde aveva ragione delle tempeste della vita, in un ordito che spossa, ma, che tuttavia coglie il valore prevalente in una vitalità che sgorga a getto, in una immediatezza di colore che si addensa e si colma, in una solarità grecizzante, in un calore umano, che si spande in quelle braccia. in quei volti...accalorati dal sudore e dilaniati dalla fredda ed inospite lancia che il mare solca per inoltrare nella risorsa quotidiana, l'amore per la vita espiato come una colpa. E ci sovviene Sir John Pierce con il suo bellissimo "Poema sul Mare" e ci avvince al crepuscolo, con la fantasia, quel sentire comune, che il pittore tramanda dal frusto dubbio che da sempre coinvolge l'artista sul futuro della terra matrigna, aspra e duramente intrisa di avventura.

La spossatezza delle membra dei marinai languisce in un Canto Notturno, assai leopardiano e diparte vele arrotolate, annodando al flusso dell'onda che culla quella sospensione, immersa nella dimensione del sogno - destino, i corpi distesi si perdono in un tempo senza tempo; in un sonno catartico per la febbre nostalgica che porta seco il ricordo della perduta avvventura! Quel mare allora, reso immobile dalla bonaccia, avvampa nella calura, dolina in uno scaramantico rilassato, pacifico preludio al sonno meritato, sonno del marinaio, che si equivale al sonno del valoroso cavaliere, così ed altrettanto profondo ed insondabile, così murmure, evocativo e pervicacemente storicizzabile, aperto a tutte le identificazioni bibliche che si possano esplicitare in una terra conosciuta per non essere mai cambiata nella propria valenza realistica, vittoriosamente espressiva.

di Milena Bassani