Non è facile imbattersi nei luoghi turistici in manifestazioni artistiche. Eppure capita sceverare talora fra negozi di ricordi locali, più o meno pacchiani, e chioschi di mode cosiddette esotiche, una rassegna itinerante di civiltà, che si autopresenta per la sua forza, esclusa cioè da circoli informativi e galleristici commerciali.

E' il caso di Ischia, dove ha esposto il pittore alcamese Enzo Di Franco (1938), laureato in geologia e insegnante di matematica e scienze. Notizia biografica che ci immerge nell'humus di un mondo atemporale, dalla ruralità alla pesca, nei giri di stagioni scoccate da albe e tramonti, uguali nei ritmi moderni e primordiali.

Sono scene mediterranee, più che dipinte scolpite da pennellate vigorose, la cui realtà è verità ambientale, non fantasia di laboratorio; impresa biblica di avventure, non fotografia di cronachisti quotidiani; corporazioni medioevali di arti e mestieri, che il mondo onirico dell'artista amalgama a categoria morale nel battesimo della fatica dei campi e della rischiosità della pesca.

Giocano gialli accecanti, incastonati da rossi cupi, azzurri scuri, grigi quaresimali: vibra un tono irreale di fiaba uguale e rinnovata ("Venditore di limoni e pescheria" - 1998), nè sfugge il fruttivendolo, nonostante il caldo paludato a rito di lavoro come l'acquirente, fra pannocchie di granoturco e collane d'aglio: sortilegio, oltre che virtù culinarie.

Alleggia nella saga "Del mare, dei tonni e degli uomini" un aspetto sacrificale e tragico, ove la lotta connatura scontri di potenze oltremondane. Cade ogni distinzione fra diverbio marino, animale, umano. Colori da tregenda introducono al tema della priorità delle forze che regolano gli opposti - vita e morte - , vuoi nell'uomo insulare come nel vichingo (scrutare i volti macri di fatica), vuoi nei tonni agonici di muso e d'occhio, vuoi nel paesaggio penitenziale - tavolozza disperata - nella successione dei periodi, previsti dai palinsesti di un nume terribile e misterioso.

Di Franco, se accudisce peraltro a un impegno culturale di usi e costumi, pressocchè ignoto ai più, sigla col suo genio la pena giornaliera della sopravvivenza, estrapolando il pescatore dal ruolo di mestiere ed archetipo di storia.

Anche il profilo del combattimento si evince dai contorni della rissa, si inquadra piuttosto nella sfida: una gara, dove l'uomo si protagonizza nei duelli con le impetuosità cieche, insite alla natura e alla animalità, in cui nessuno è deuteragonista, esponente invece ognuno dei cicli di presenza e assenza planetaria. Linguaggio universale che Di Franco scava e offre alla gente quale filosofia e meditazione.

di Mario Varesi